domenica 1 febbraio 2015

giolitti, andreotti, Palmiro Togliatti... ???

A leggere i giornali oggi sembra sia accaduto l'impossibile, eppure nella realtà politica italiana non mancano i precedenti di grandi navigatori del mondo politico italiano, il qual mondo politico italiano è quasi sempre una cattiva (e nello stesso tempo sincera) rappresentazione della realtà nazionale. E così per comodità, ma anche per simpatia (e forse anche scarsa conoscenza della storia italica) dal gran calderone "democratico" prendo a riferimento tre figure importanti due delle quali che hanno governato ufficialmente (Giolitti e Andreotti) e la terza (Palmiro Togliatti) che ha molto influito intanto per bloccare e salvare l'Italia da possibili COLONELLI (vedi Grecia) e poi nel formare una nuova leva dirigente che in qualche modo avvicinasse il "proletariato" italico al potere democratico attraverso un insieme di strumenti operativi che andavano dalla culla al funerale e calibrati in modo da accogliere il maggior numero di aderenti e contemporaneamente potessero dare forma e sostanza alle nuove generazioni.
 
Togliatti nasce nel 1893, si laurea brillantemente sotto la guida di Luigi Einaudi (!) e pur riformato per la miopia entra come volontario nella Croce rossa da già iscritto al Partito Socialista (1914), poi, modificati i criteri di arruolamento, chiederà di andare fra gli alpini. Finita la guerra, è storia nota, la fondazione del PCI con Gramsci, Terracini e Tasca e inizia il continuo navigare fra le varie frazioni  e sottofrazioni sia a Mosca che in Europa. Ma non è questo che interessa, ma la sopravvivenza fisica e politica di Togliatti che comportò anche momenti oscuri, come in Spagna dove i suoi nemici erano certamente franchisti e fascisti ma anche tutti quei combattenti che avevano posizioni contrarie a Mosca e in particolare quindi anche contro gli anarchici che furono letteralmente mandati allo sbaraglio e decimati. Poi c'è la guerra, le vicissitudini della resistenza e, infine, la svolta di Salerno che portò il PCI, in accordo con Mosca, a privilegiare la lotta antifascista alla eliminazione della monarchia e di conseguenza l'ingresso nel CLN. In tutte queste fasi il riferimento erano sempre l'URSS e Stalin poi piano iniziò una evoluzione che portava comunque al consolidamento in Italia del Partito anche perché gli accordi di Yalta assegnavano l'Italia agli USA, con la Russia che arrivava fino al confine orientale con Trieste TLT (territorio libero con Zona A controllata da americani e inglesi e zona B sotto controllo slavo), il quale confine era controllato dallo Yugoslavia di Tito..
 
Nel 1948 il Fronte Nazionale (PCI-PSI) ottiene il 30,8%, nel 1953 il PCI da solo arriva al 22.6 con il PSI (di Nenni) al 12,7%. Ed è proprio in queste elezioni che viene eletto deputato Napolitano, classe 1925 e quindi 28 anni e nel PCI rappresenta l'ala "liberaldemocratica" anche se accetta per disciplina SEMPRE la linea ufficiale del partito. Vien da pensare che a volte tra Togliatti e Napolitano ci sia stata sintonia, in fondo l'ambiente intellettuale primario di formazione era "liberals" e la preoccupazione principale del PCI all'epoca, e non solo, era quella di evitare scontri che avrebbero potuto portare alla messa fuori legge se non alla guerra civile. Comunque lentamente i risultati elettorali migliorano  di qualche punto (25.3 nel 1963), (26.9 nel 1968), (27,2 nel 1972) e poi il picco del 1976 con il 34,37 sotto la guida di Berlinguer, per scendere al 30,38 3 anni dopo (1979) e poi il solito trend, come nel 1987 con il 26,57. In fondo il 25 e qualcosa per cento di Bersani è lo standard con l'improvviso 40% delle ultime europee.
 
Tutto questo per dire che quando arriva il "fenomeno" RENZI in qualche modo il Napolitano che si avvicina ai 90 anni vede l'occasione di una lunga vita politica e trova in Renzi quel carattere e quelle opportunità tante volte perse di portare il PCI, oggi PD, finalmente al Governo e su posizioni difendibili anche negli anni futuri e la stessa elezione a Presidente di Mattarella sembra quasi la conclusione di un percorso iniziato con Moro, senza quelle tentazioni berlingueriane di assolutismo culturale che alla fine rinchiudono il partito, qualsiasi partito in un ghetto INUTILE.
 
 

2 commenti:

  1. D'accordo su quasi tutto, Ben. Quel che mi allontana dalla tua analisi è proprio quella stoccata finale su Berlinguer. Berlinguer non era un assolutista , a mio avviso, ma uno che credeva nel comunismo in versione italica, diciamo un puro, dotato di un formidabile carisma che affascinava. Io sono stata una di quelli affascinati da Berlinguer che credeva a una via italiana del comunismo, a una sua identità.

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  2. io stesso ho cominciato a votare PCI grazie a lui e per "colpa sua" l'anno della sua morte. Riprendevo questo concetto da Napolitano Wikipedia e credo che un fondo di vero ci fosse. Troppo alto, troppo limpido, troppo intellettuale per guidare un patito complesso nella realtà e troppo nobilmente sardo. La politica è sangue e merda, fatta di tanti "stai sereno"... GRAZIE

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